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08 Mag, 22

L’approfondimento di Nicola Nisio: “Le vicende patologiche delle «procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento» successive alla omologazione: dalla L. 3/2012 al codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”.

LE VICENDE PATOLOGICHE DELLE «PROCEDURE DI COMPOSIZIONE DELLA CRISI DA SOVRAINDEBITAMENTO» SUCCESSIVE ALLA OMOLOGAZIONE: DALLA L. 3/2012 AL CODICE DELLA CRISI D’IMPRESA E DELL’INSOLVENZA

LE VICENDE PATOLOGICHE DELLE «PROCEDURE DI COMPOSIZIONE DELLA CRISI DA SOVRAINDEBITAMENTO»-Approfondimento Avv. Nicola Nisio  (scarica il documento)

Sommario: 1. Delimitazione del tema: le vicende patologiche delle «Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento» post omologazione. Riferimenti normativi 2. Le vicende patologiche delle «Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento» successive alla omologazione nella l. n. 3/2012: l’accordo di composizione della crisi 3. (Segue): il piano del consumatore. 4. (Segue): sintesi dei profili problematici. 5. Le vicende patologiche delle «Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento» successive alla omologazione nel Codice della Crisi e dell’Insolvenza: profili generali 6. (Segue): i casi di revoca della omologazione del «Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore» e del «Concordato minore». 7. (Segue): Effetti della revoca della omologazione. Conversione nella procedura di liquidazione controllata

  1. Delimitazione del tema: le vicende patologiche delle «Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento» post omologazione. Riferimenti normativi

La note che seguono hanno ad oggetto le “vicende patologiche” delle «Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento» previste nella legge n. 3/2012 («Legge sul sovraindebitamento») – l’«Accordo di composizione della crisi» ed il «Piano del consumatore» – e di quelle contemplate nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza («CCI», contenuto nel d.lgs. n. 14/2019), ove, con nuova nomenclatura, l’«Accordo di composizione della crisi» ha preso il nome di «Concordato minore» ed il «Piano del consumatore» è stato rinominato «Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore». Di quelle vicende patologiche, tuttavia, che possono rilevare successivamente all’omologazione dell’«Accordo di composizione della crisi», del «Piano del consumatore», del «Concordato minore» e del «Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore».

Pur essendo le vicende patologiche in questione disciplinate, nei due corpi normativi, sotto molti profili in maniera analoga, il passaggio dalla «Legge sul sovraindebitamento» al «CCI» segna non poche differenze, in alcuni casi di rilievo significativo.

L’opportunità di esaminare entrambe le discipline si pone non solo e non tanto per l’ulteriore – e necessariamente ultimo – slittamento, al 15 luglio 2022, dell’entrata in vigore del «CCI», quanto, e soprattutto, perché la disciplina della «Legge sul sovraindebitamento» continuerà ad applicarsi alle procedure di composizione della crisi aperte prima dell’entrata in vigore del «CCI», con la conseguenza che le vicende patologiche post omologa relative a tali procedure continueranno ad essere regolate dalla «Legge sul sovraindebitamento».

I principali riferimenti normativi pertinenti al tema in questione sono:

  1. a) per quanto riguarda la «Legge sul sovraindebitamento»:

(i) relativamente all’«Accordo di composizione della crisi»:

  1. l’art. 11, comma 5, che prevede un caso di cessazione degli effetti ed uno di revoca dell’«Accordo»;
  2. l’art. 12, commi 4 e 5, ove sono previsti taluni casi di cessazione degli effetti e di risoluzione dell’«Accordo»;
  3. l’art. 14 che prevede i casi di annullamento e di risoluzione dell’«Accordo»;
  4. l’art. 14 quater che prevede la conversione delle procedure di composizione della crisi di sovraindebitamento (e, quindi, sia dell’«Accordo» che del «Piano del consumatore») nella procedura di «Liquidazione del patrimonio», regolata negli articoli 14 ter e ss. della «Legge sul sovraindebitamento»;

(ii) relativamente al «Piano del consumatore»:

  1. l’art. 12 ter comma 4, che prevede alcune ipotesi di cessazione degli effetti del «Piano»;
  2. l’art. 14 bis che prevede dei casi di revoca e di cessazione degli effetti del «Piano»;
  3. il già citato art. 14 quater che prevede, come detto sopra, la conversione delle procedure di composizione della crisi di sovraindebitamento nella procedura di «Liquidazione del patrimonio»;
  4. b) per quanto riguarda il «CCI»:

(i) relativamente al «Concordato minore»:

  1. l’art. 82, che disciplina la revoca della omologazione;
  2. l’art. 83, che regola la conversione della procedura del «Concordato minore» nella procedura di «Liquidazione controllata»;

(ii) relativamente al «Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore»:

  1. l’art. 72, che, anch’esso, regola la revoca della omologazione;
  2. l’art. 73, che disciplina, a sua volta, la conversione della procedura del «Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore» nella procedura di «Liquidazione controllata».

 

  1. Le vicende patologiche delle «Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento» successive alla omologazione nella l. n. 3/2012: l’accordo di composizione della crisi

             2.1.- Come anticipato, l’art. 11, comma 5 della «Legge sul sovraindebitamento» prevede due distinte ipotesi idonee a caducare l’«Accordo» successivamente alla sua omologazione.

2.1.1.- Il primo periodo della norma regola una ipotesi di cessazione ex lege degli effetti dell’accordo, stabilendo che:

«L’accordo cessa, di diritto, di produrre effetti se il debitore non esegue integralmente, entro novanta giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti alle amministrazioni pubbliche e agli enti di gestione delle forme di assistenza e previdenza obbligatorie».

La norma è figlia dell’iniziale conformazione dell’istituto, nel testo originario della «Legge sul sovraindebitamento», in termini simili all’accordo di ristrutturazione dei debiti previsto nella Legge Fallimentare e riecheggia la disposizione prevista, in tema di transazione fiscale conclusa nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, dall’art. 182 ter, comma 6 L.F., a norma della quale:

«La transazione fiscale conclusa nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione di cui all’art. 182 bis è risolta di diritto se il debitore non esegue integralmente, entro novanta giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti alle Agenzie fiscali e agli gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie».

Le successive modifiche alla disciplina dell’«Accordo», a partire da quelle apportate dal d.l. n. 179/2012, convertito in l. 221/2012, hanno avviato, se si può così dire, la trasformazione in senso concordatario dell’istituto, che ha trovato il suo completamento con il «CCI», nel quale l’«Accordo di composizione della crisi» ha assunto, non a caso, la nuova denominazione di «Concordato minore» e nel quale, per quanto qui maggiormente rileva, non trovano più spazio disposizioni come quella in questione, non più coerenti con la mutata conformazione dell’istituto.

2.1.2.– Il secondo periodo dell’art. 11, comma 5 della «Legge sul sovraindebitamento», prevede un caso di revoca dell’accordo, disponendo che:

«L’accordo è altresì revocato se risultano compiuti durante la procedura atti diretti a frodare le ragioni dei creditori»

La disposizione è stata introdotta dal già citato d.l. n. 179/2012, convertito in l. 221/2012, che, come appena accennato, ha ridisegnato l’istituto dell’«Accordo», avvicinandolo, a quello del concordato, e riecheggia il disposto dell’art. 173, comma 3, L.F., il quale, in tema di concordato preventivo, dispone che la revoca dell’ammissione al concordato può aversi anche nel caso in cui

«…il debitore compie, durante la procedura di concordato, attidiretti a frodare le ragioni dei creditori».

Gli atti di frode delle ragioni dei creditori previsti dal secondo periodo dell’art. 11, comma 5 della «Legge sul sovraindebitamento» sono, quindi, quelli commessi successivamente al deposito della proposta di accordo, ed a tal proposito si potrebbe pensare, ad esempio, al pagamento di creditori anteriori alla pubblicità, disposta dal giudice ai sensi dell’art. 10, comma 2, lett. a) della «Legge sul sovraindebitamento», della proposta e del decreto di fissazione dell’udienza (si tratta dei creditori che saranno vincolati all’«Accordo», se omologato, ed i quali, sino alla omologazione, non possono iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore); al compimento di atti di amministrazione straordinaria senza l’autorizzazione del giudice prevista dall’art. 10, comma 3 bis della «Legge sul sovraindebitamento» oppure ad atti di sottrazione od occultamento dell’attivo compiuti in corso di procedura.

Riguardo alla operatività della revoca in questione, il terzo periodo dell’art. 11, comma 5, della «Legge sul sovraindebitamento» stabilisce che:

«Il giudice provvede d’ufficio con decreto reclamabile, ai sensi dell’art. 739 del codice di procedura civile, innanzi al tribunale e del collegio non può far parte il giudice che lo ha pronunciato»

Secondo alcuni commentatori, la formulazione della norma – considerato sia il suo riferimento ad atti commessi in corso di procedura sia l’intervento officioso del giudice – deporrebbe nel senso che il compimento degli atti in frode in corso di procedura sarebbe rilevabile solo prima della chiusura della procedura, non invece, dopo l’omologazione dell’«Accordo».

Occorre, tuttavia, considerare, che le medesime condotte sono contemplate, come si vedrà in seguito, ai fini della revoca dell’omologazione del «Piano del consumatore» (art. 14bis, comma 1, che richiama l’art. 11, comma 5), ed in questo caso è indubbio che atti in frode commessi in corso di procedura possano essere rilevati e condurre alla caducazione del «Piano del consumatore» successivamente all’omologazione; se così è, non si comprenderebbe la ragione di un diverso trattamento degli atti in frode commessi in corso di procedura nel caso dell’«Accordo», che ne limitasse la rilevabilità sino all’omologazione.

2.2.- L’art. 12, commi 4 e 5 della «Legge sul sovraindebitamento», prevede due casi di cessazione degli effetti ed uno di risoluzione dell’«Accordo».

2.2.1.- I due casi di cessazione degli effetti, previsti dal quarto comma della disposizione, sono caratterizzati dal fatto che riguardano il mancato pagamento di creditori che o sono estranei all’«Accordo» – i titolari di crediti impignorabili – ovvero i cui crediti possono essere incisi in maniera molto limitata dall’«Accordo», il quale può prevederne solo la dilazione.

Con riferimento alla prima delle due ipotesi, la singolarità di tale disposizione sta proprio nella circostanza di attribuire portata caducatoria degli effetti dell’«Accordo» ad inadempimenti che non hanno ad oggetto obbligazioni coinvolte nell’accordo medesimo.

2.2.2.-Il quarto comma della norma, nel primo periodo, stabilisce che gli effetti dell’«Accordo» vengono meno, innanzi tutto in caso di

«mancato pagamento dei crediti impignorabili»

A tal proposito, occorre ricordare che:

(i) ai sensi dell’art. 7 della «Legge sul sovraindebitamento», il piano relativo all’«Accordo» deve «assicurare l’integrale pagamento dei crediti impignorabili ai sensi dell’art. 545 del codice di procedura civile e delle altre disposizioni contenute in leggi speciali»;

(ii) ai sensi dell’art. 12, comma 2 della «Legge sul sovraindebitamento», il giudice omologa l’«Accordo» dopo aver accertato, fra l’altro, «l’idoneità del piano ad assicurare l’integrale pagamento dei crediti impignorabili»

La lettera della norma, nel richiedere che il piano assicuri «l’integrale pagamento» dei crediti in questione, ricorda la previsione contenuta nell’art. 182 bis, comma 1, L.F., relativamente ai creditori estranei all’accordo di ristrutturazione dei debiti, dei quali deve essere, anche in tal caso, «assicurato» «l’integrale pagamento», sia pure con una moratoria di 120 giorni (decorrenti dalla data della omologazione, ove si tratti di crediti a quella data già scaduti; ovvero dalla data della loro scadenza, se successiva), la quale non è, invece, prevista nell’art. 7 della «Legge sul sovraindebitamento» per i crediti impignorabili (circostanza che si giustifica, probabilmente, anche in considerazione della natura dei bisogni che, in molti casi, vengono soddisfatti da tali crediti: si pensi agli obblighi di alimenti).

2.2.3.– Sempre il primo periodo del quarto comma dell’art. 12 della «Legge sul sovraindebitamento» prevede, in secondo luogo, che gli effetti dell’«Accordo» vengano meno in caso di:

«mancato pagamento dei crediti di cui all’art. 7, comma 1 terzo periodo»

A tal proposito occorre ricordare che la norma richiamata dalla disposizione citata (l’art. 7, comma 1, primo periodo della «Legge sul sovraindebitamento») stabiliva, relativamente all’«Accordo» che:

«In ogni caso, con riguardo ai tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea ed alle ritenute operate e non versate, il piano può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento».

Il periodo in questione dell’art. 7 della «Legge sul sovraindebitamento» è stato, tuttavia, soppresso dall’art. 4-ter 1, lett. b), n. 1, del D.L. 137/2020, convertito in l. 176/2020, con la conseguenza che la previsione della cessazione degli effetti dell’«Accordo» per il mancato pagamento dei crediti in questione deve ritenersi inoperante (e rimasta nel testo della norma solo per distrazione del legislatore, così come, per lo stesso motivo, è rimasta nel testo dell’art. 12, comma 2 della «Legge sul sovraindebitamento» la previsione secondo cui il giudice omologa l’«Accordo» ove verifichi, fra l’altro, l’idoneità del piano ad assicurare l’integrale pagamento dei crediti in questione).

2.2.4. – Il quinto comma dell’art. 12 della «Legge sul sovraindebitamento» prevede, invece, un caso di risoluzione dell’«Accordo», stabilendo che

«La sentenza dichiarativa di fallimento pronunciata a carico del debitore risolve l’accordo»

Ed aggiungendo che:

«Gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione dell’accordo omologato non sono soggetti all’azione revocatoria di cui all’art. 67 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267. A seguito della sentenza che dichiara il fallimento, i crediti derivanti da finanziamenti effettuati in esecuzione o in funzione dell’accordo omologato sono prededucibili a norma dell’art. 111 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267».

La disposizione – che non è stata riprodotta, con riferimento al «Concordato minore», nel «CCI» – ha posto, innanzi tutto, l’interrogativo relativo a quando il debitore che ha proposto l’«Accordo» omologato possa essere dichiarato fallito, atteso che l’accesso alle procedure di regolazione della crisi di sovraindebitamento è riservata a soggetti non fallibili.

A tal proposito si sono individuati almeno due casi:

  1. a) quello del debitore che – pur non essendo imprenditore fallibile – sia socio illimitatamente responsabile di società in nome collettivo, in accomandita semplice ovvero in accomandita per azioni la quale, successivamente all’omologazione dell’«Accordo» del socio, venga dichiarata fallita, con conseguente fallimento in estensione del socio medesimo, a norma dell’art. 147 della L.F.;
  2. b) quello del debitore che – essendo all’epoca della omologazione dell’«Accordo» imprenditore commerciale c.d. sotto soglia – abbia superato, dopo l’omologazione, almeno una delle tre soglie di fallibilità previste dall’art. 1, comma 2, L.f. e, versando in stato di insolvenza, sia stato dichiarato fallito.

Quanto alla giustificazione della norma, alcuni commentatori hanno ritenuto di rinvenirla nella disciplina dei contratti pendenti alla data della sentenza dichiarativa di fallimento, accostando la fattispecie prevista dalla norma in questione ai casi di scioglimento ex lege del contratto pendente (in questo caso costituito dall’«Accordo»).

L’opinione non sembra condivisibile, in quanto per contratti pendenti alla data della dichiarazione di fallimento debbono intendersi quelli rispetto ai quali, alla data della dichiarazione di fallimento, le prestazioni di entrambe le parti non sono state integralmente eseguite: né quella del fallito né quella dell’altro contraente. Nel caso di specie, tuttavia, l’«Accordo» omologato prevede obbligazioni solo a carico del debitore (il pagamento in favore dei creditori nella misura e nei termini previsti dall’«Accordo»). Siamo, quindi, al di fuori della fattispecie dei contratti pendenti.

Volendo individuare una giustificazione per la disposizione si può, probabilmente, trarre spunto dall’orientamento espresso dalla Cassazione in caso di sopravvenuto fallimento del debitore che, dopo aver ottenuto l’omologazione del concordato preventivo, sia stato dichiarato fallito prima della risoluzione del concordato medesimo: il c.d. fallimento omisso medio, sulla cui ammissibilità si sono recentemente pronunciate le Sezioni Unite della Suprema Corte, con la sentenza n. 4696/2022. Ebbene, secondo la Cassazione l’intervenuto fallimento costituisce un evento che rende irrealizzabile l’esecuzione del piano concordatario (Cass. Civ. 26002/2018; Cass. Civ. 12085/2020), e questo poiché, dopo la dichiarazione di fallimento tutti i creditori del fallito, ivi compresi quelli coinvolti nel concordato, dovranno essere soddisfatti nell’ambito della procedura fallimentare. Si potrebbe, quindi, pensare che, anche nel caso dell’«Accordo», l’intervenuto fallimento operi quale causa di impossibilità sopravvenuta di esecuzione del piano ad esso relativo.

In caso di risoluzione dell’«Accordo» per intervenuto fallimento del debitore, si pone, peraltro, il problema dell’importo per il quale i creditori vincolati all’«Accordo» potranno chiedere l’ammissione al passivo: l’intero loro credito o quello rideterminato dall’«Accordo» omologato? Anche su questo punto si può richiamare la giurisprudenza della Cassazione formatasi con riferimento al caso del fallimento omisso medio dell’imprenditore dopo l’omologa del concordato preventivo, secondo la quale occorre distinguere a seconda che il fallimento sia intervenuto prima o dopo lo spirare del termine entro cui può essere proposta l’azione di risoluzione del concordato: nel primo caso i creditori concordatari potranno chiedere l’ammissione al passivo per l’intero loro credito originario (al netto degli eventuali pagamenti ricevuti dopo l’omologa), nel secondo caso, essendosi “consolidato” il concordato, potranno chiedere l’amissione al passivo solo per la misura del credito rideterminata in sede concordataria, sempre al netto dei pagamenti medio tempore ricevuti (Cass. Civ. 26002/2018; Cass. Civ. 12085/2020). Applicando questo principio all’ipotesi di risoluzione dell’«Accordo» per intervenuto fallimento del debitore, i creditori vincolati dall’«Accordo» potrebbero chiedere l’ammissione al passivo per il loro credito originario, se il fallimento è stato dichiarato prima dello spirare del termine entro cui può essere proposto il ricorso per la risoluzione dell’«Accordo» (fissato nell’art. 14, comma 3 della «Legge sul sovraindebitamento»); per il credito rideterminato nell’«Accordo» omologato, se il fallimento è stato dichiarato dopo che sia spirato tale termine (in entrambi i casi, al netto dei pagamenti medio tempore ricevuti).

Chiudendo sul tema va rimarcata l’opportunità sia della parte della disposizione che esenta dalla revocatoria gli atti i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione dell’accordo, in quanto tale esenzione non può ricavarsi dalla disciplina dell’art. 67, comma 5, L.F.; sia di quella che dispone la prededucibilità ex art. 111 L.F. dei finanziamenti effettuati in esecuzione o in funzione dell’accordo omologato, che non sarebbe stata, altrimenti, ricompresa nella norma, che fa riferimento ai crediti sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali previste nella Legge Fallimentare.

2.3.- L’art. 14 della «Legge sul sovraindebitamento» contempla l’annullamento e la risoluzione dell’«Accordo».

2.3.1.- Per quanto riguarda l’annullamento, il primo comma della disposizione stabilisce che:

«L’accordo può essere annullato dal tribunale su istanza di ogni creditore, in contraddittorio con il debitore, quando è stato dolosamente o con colpa grave aumentato o diminuito il passivo, ovvero sottratta o dissimulata una parte rilevante dell’attivo ovvero dolosamente simulate attività inesistenti. Non è ammessa alcuna altra azione di annullamento».

La disposizione ricalca, con alcune differenze, la previsione contenuta, con riferimento al concordato fallimentare, dall’art. 138 L.F. (richiamata per il concordato preventivo dall’art. 186 L.F.), ai sensi del quale:

«Il concordato omologato può essere annullato, su istanza del curatore o di qualunque creditore, in contraddittorio con il debitore, quando si scopre che è stato dolosamente esagerato il passivo ovvero sottratta o dissimulata una parte rilevante dell’attivo. Non è ammessa alcuna altra azione di nullità»

Le due principali differenze che intercorrono fra la disposizione della «Legge sul sovraindebitamento» e quella della Legge Fallimentare sono:

  1. a) da un lato, la circostanza che, con riferimento all’elemento soggettivo, la «Legge sul sovraindebitamento» contempla, oltre al dolo, anche l’ipotesi della colpa grave (e cioè la condotta di chi agisce con straordinaria ed inescusabile imprudenza ovvero omette di osservare non solo la diligenza del buon padre di famiglia, ma anche quel minimo grado di diligenza che tutti osservano);
  2. b) dall’altro, che la «Legge sul sovraindebitamento» prevede dei casi, segnatamente quelli di diminuzione del passivo e di dolosa simulazione di attività inesistenti, che non sono previsti dalla Legge Fallimentare per il concordato. Ciò probabilmente trova una spiegazione nella minor profondità che, nell’ambito delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (accordo e piano), hanno le verifiche sulla consistenza del patrimonio del debitore, rispetto a quanto previsto nella disciplina del fallimento (e quindi nel caso del concordato fallimentare) e del concordato preventivo.

Caratteristica comune a tutte le ipotesi previste dalla norma è la loro portata decettiva, e cioè la loro idoneità a fornire, ai creditori ed al giudice, una falsa rappresentazione della realtà riguardo alla consistenza del patrimonio del debitore, in grado di influenzare, per quanto riguarda il giudice, le valutazioni che è chiamato ad effettuare in ordine alla sussistenza delle condizioni della ammissibilità dell’«Accordo» e della sua omologazione, per quanto riguarda i creditori, la loro valutazione sulla convenienza della proposta.

Si tratta, inoltre, di condotte che, quanto meno nel caso del dolo, sono contrarie ai canoni di correttezza e buona fede che devono improntare la condotta del debitore, tanto più ove si consideri il beneficio per il debitore costituito dall’effetto esdebitatorio conseguente alla omologazione dell’«Accordo».

In merito alle ipotesi previste dalla norma si può, riassuntivamente, dire quanto segue:

  1. a) aumento del passivo

L’aumento del passivo si traduce nella indicazione di crediti inesistenti o nella indicazione di crediti in misura superiore a quella reale.

Quando dolosa, tale condotta può essere motivata dall’intento di distrarre l’attivo in favore di chi non è creditore ovvero di accrescere la misura del soddisfacimento di alcuni creditori ovvero ancora dall’intento di creare maggioranze fittizie.

La frode può concretarsi anche nella qualificazione di un credito come privilegiato in assenza del relativo presupposto.

  1. b) diminuzione del passivo

La diminuzione del passivo si traduce, invece, nella omissione della indicazione di uno o più crediti o nella indicazione di crediti in misura inferiore a quella reale.

Quando dolosa, la condotta in questione può essere motivata, fra l’altro, dall’intento di ridurre il fabbisogno ai fini della valutazione sulla fattibilità dell’«Accordo».

La frode può concretarsi anche nella omessa denuncia di un credito incerto o contestato ovvero nella mancata indicazione di una causa di prelazione.

  1. c) sottrazione dell’attivo

La sottrazione dell’attivo consiste, secondo l’opinione prevelente, nel materiale nascondimento o nella materiale distruzione di una parte dell’attivo; non quindi, nella sua semplice diminuzione a seguito del compimento di atti giuridici che ciò abbiano comportato, come ad esempio nel caso della donazione.

Può comportare sottrazione dell’attivo anche la mancata indicazione di crediti incerti perché, ad esempio, il loro riconoscimento è oggetto di azioni giudiziarie avviate (o da avviare) dal debitore.

  1. d) dissimulazione dell’attivo

La dissimulazione dell’attivo consiste, invece, per lo più nel compimento di atti giuridici che comportino una apparente fuoriuscita di beni e diritti dal patrimonio del debitore, come nel caso di vendite simulate o intestazioni fiduciarie.

Nel caso della sottrazione ovvero della dissimulazione dell’attivo l’annullamento è escluso se tali condotte abbiano avuto ad oggetto una parte irrilevante di esso, previsione, questa, foriera di non poche incertezze applicative.

  1. e) simulazione dell’attivo

La simulazione dell’attivo si ha, invece, con la rappresentazione (eventualmente preceduta da atti giuridici che comportino l’apparente ingresso di beni o diritti nel patrimonio del debitore: come nel caso di acquisti simulati) di componenti attive nel patrimonio del debitore che sono, in realtà, insussistenti.

Le condotte sopra indicate si traducono, quasi sempre, in alterazioni dell’elenco dei creditori ovvero dell’elenco delle attività, che il debitore deve allegare in uno con il deposito della proposta, ai sensi dell’art. 9, comma 2 della «Legge sul sovraindebitamento»

Ai sensi dell’art. 14, comma 1 bis della «Legge sul sovraindebitamento»

«Il ricorso per l’annullamento deve proporsi entro nel termine di sei mesi dalla scoperta e, in ogni caso, non oltre due anni dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto»

2.3.2.- La seconda fattispecie disciplinata dall’art. 14 della «Legge sul sovraindebitamento» è quella della risoluzione dell’«Accordo», prevedendo la disposizione che:

«Se il proponente non adempie agli obblighi derivanti dall’accordo, se le garanzie promesse non vengono costituite o se l’esecuzione dell’accordo diviene impossibile per ragioni non imputabili al debitore, ciascun creditore può chiedere al tribunale la risoluzione dello stesso»

Anche questa disposizione – come quella sull’annullamento dell’«Accordo» – richiama la previsione contenuta nella Legge Fallimentare in materia di annullamento del concordato fallimentare dall’art. 137 (richiamata per il concordato preventivo dall’art. 186 L.F.), a norma del quale:

«Se le garanzie promesse non vengono costituite o se il proponente non adempie regolarmente gli obblighi derivanti dal concordato, ciascun creditore può chiederne la risoluzione».

Come è noto, la Legge Fallimentare contempla sia per il concordato fallimentare che per quello preventivo, l’ipotesi in cui il concordato venga assunto da un soggetto diverso dal debitore (c.d. “assuntore”: si parla in questi casi di “concordato con assuntore”) e che l’omologazione del concordato con assuntore possa anche comportare la liberazione immediata del debitore dalle sue obbligazioni nei confronti dei creditori concordatari. In tal caso, la risoluzione del concordato è esclusa dall’art. 137, comma 7 L.F. L’ipotesi dell’assuntore – e, comunque, della liberazione immediata del debitore a seguito della omologa – non è prevista per l’accordo regolato dalla «Legge sul sovraindebitamento».

  1. a) Inadempimento dell’accordo

La principale questione interpretativa che pone l’ipotesi dell’inadempimento dell’«Accordo» – da intendersi come inadempimento imputabile al debitore – è quella della valutazione della sua gravità.

I commentatori sono, infatti, concordi nel ritenere che, come previsto nella disciplina generale della risoluzione del contratto per inadempimento (art. 1455 cod. civ.) ed ora nella disciplina del concordato preventivo (art. 186, comma 2, L.F.), anche nel caso dell’«Accordo» l’inadempimento, per costituire causa di risoluzione, deve essere grave, o per meglio dire, non debba essere di scarsa importanza.

Ciò premesso, il problema è se la gravità dell’inadempimento vada valutata – come la prevalente dottrina e giurisprudenza ritengono nel caso della risoluzione del concordato e secondo l’orientamento che sembra prevalere anche con riferimento all’«Accordo» – con riferimento alla globalità dei creditori coinvolti nell’accordo, o, per meglio dire, guardando al complesso degli impegni assunti dal debitore nell’«Accordo», oppure relativamente al credito riferibile al creditore che agisca per la risoluzione.

  1. b) Mancata costituzione delle garanzie promesse

Si tratta delle garanzie promesse da soggetti diversi dal debitore, ricadendosi, altrimenti, nell’ipotesi dell’inadempimento dell’«Accordo» da parte del debitore medesimo

  1. c) Impossibilità di esecuzione dell’accordo per causa non imputabile al debitore

Rientrano in tale fattispecie – accostabile alla risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta ex art. 1463 cod. civ. – tutte le ipotesi in cui l’esecuzione dell’«Accordo» diventi oggettivamente impossibile per cause non imputabili al debitore.

Bisogna, a tal proposito, ricordare che a norma dell’art. 13, comma 4 ter della «Legge sul sovraindebitamento»,

«Quando l’esecuzione dell’accordo o del piano del consumatore diviene impossibile per ragioni non imputabili al debitore, quest’ultimo, con l’ausilio dell’organismo di composizione della crisi, può modificare la proposta e si applicano le disposizioni di cui ai parr. 2 e 3 della presente sezione»: occorrerà, quindi, procedere ad acquisire nuovamente il consenso dei creditori e l’omologa nel caso dell’«Accordo», ovvero nuovamente l’omologa nel caso del «Piano del consumatore», secondo l’iter procedimentale previsto per i due casi.

Volendo coordinare le due disposizioni – quella in tema di risoluzione per impossibilità di esecuzione non imputabile al debitore dell’«Accordo» e quella che, nel medesimo caso, ne prevede la modificabilità – alcuni commentatori ritengono che, nel caso in cui si verifichi l’impossibilità sopravvenuta di esecuzione dell’«Accordo» per causa non imputabile al debitore, la risoluzione potrà aversi solo (i) ove il debitore non intenda modificarlo; (ii) ove l’«Accordo» non sia oggettivamente modificabile ovvero ancora (iii) ove, proposta ai creditori la modifica, non si raggiunga la maggioranza prevista dall’art. 11, comma 2 della «Legge sul sovraindebitamento» ovvero (iv) se la modifica, ancorché approvata dai creditori, non superi il vaglio della omologazione. Seguendo questa impostazione si potrebbe, probabilmente, ritenere che, verificatasi l’impossibilità di esecuzione dell’«Accordo» per causa non imputabile al debitore, questi possa impedirne la risoluzione proponendo la modifica dell’«Accordo» prima che sia stato proposto il ricorso per la risoluzione.

Ai sensi dell’art. 14, comma 3 della «Legge sul sovraindebitamento»

«Il ricorso per la risoluzione è proposto, a pena di decadenza, entro il termine di sei mesi dalla scoperta e, in ogni caso, non oltre un anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto dall’accordo»

 

2.3.3.- Per quanto riguarda la legittimazione all’esercizio delle azioni di annullamento e risoluzione dell’«Accordo» – riconosciuta a «ogni creditore» relativamente all’annullamento ed a «ciascun creditore» nel caso della risoluzione – fermo restando che, secondo l’orientamento prevalente, questa deve essere riconosciuta a tutti i creditori vincolati all’«Accordo» medesimo, ci si domanda se debba essere riconosciuta anche ai creditori i cui crediti siano per causa e titolo posteriori al momento in cui è stata eseguita la pubblicità della proposta e del decreto di fissazione dell’udienza da parte del giudice, a norma dell’art. 10, comma 2, della «Legge sul sovraindebitamento», e che, perciò, non sono vincolati all’«Accordo». L’opinione che estende anche ai secondi la legittimazione a presentare il ricorso per la risoluzione appare forse preferibile, avendo anche tali creditori interesse alla caducazione degli effetti dell’omologa, a seguito della quale riacquisirebbero la possibilità di agire esecutivamente sui beni del debitore oggetto del piano, venendo meno la preclusione posta dall’art. 12, comma 3, secondo periodo della «Legge sul sovraindebitamento».

La disciplina del termine di decadenza per l’esercizio dell’azione di annullamento e di quella di risoluzione pone, soprattutto, l’incertezza relativa al dies a quo dal quale decorrono i due anni nel caso dell’azione di annullamento e l’anno nel caso dell’azione di risoluzione, in tutti quei casi in cui il termine fissato per l’ultimo adempimento dell’«Accordo» non risulti chiaramente dallo stesso o dal provvedimento di omologazione.

Per quanto riguarda il procedimento per la risoluzione o l’annullamento, l’art. 14, comma 5 della «Legge sul sovraindebitamento» richiama le disposizioni di cui agli artt. 737 e ss. cod. proc. civ. – quelle che regolano i procedimenti in camera di consiglio – stabilendo che contro il decreto che decide sul ricorso per annullamento o risoluzione è ammesso reclamo dinanzi al tribunale e che del collegio non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento.

 

2.4.- Effetti della caducazione dell’accordo / Conversione in procedura di liquidazione

2.4.1.- La caducazione degli effetti dell’«Accordo» – conseguente ai casi di cessazione degli effetti, di revoca, di annullamento e di risoluzione, previsti dalla «Legge sul sovraindebitamento» – comporta, in termini generali – limitandoci ai profili più importanti:

  1. a) da un lato, che, non avendo l’«Accordo» carattere novativo dei rapporti obbligatori intercorrenti fra il debitore ed i creditori vincolati dall’«Accordo» medesimo, i crediti di costoro rivivranno nella loro originaria conformazione (salvo quanto detto in precedenza per il caso di risoluzione dell’«Accordo» per intervenuto fallimento del debitore), al netto dei pagamenti medio tempore ricevuti in esecuzione del piano (mentre secondo alcuni commentatori le garanzie concesse, oltre che dal debitore anche da terzi, per l’adempimento dell’«Accordo» rimarrebbero in vita: opinione che, questa, si rifà alla giurisprudenza formatasi con riferimento alla risoluzione del concordato preventivo. Qualche perplessità potrebbe, tuttavia, suscitare l’estensione di tale regola anche agli casi di caducazione dell’«Accordo», diversi dalla risoluzione per inadempimento);
  2. b) i creditori non vincolati dall’«Accordo» riacquisiranno il potere di agire esecutivamente sui beni del debitore oggetto del piano (venendo meno la preclusione, già ricordata, posta dall’art. 12, comma 3, secondo periodo della «Legge sul sovraindebitamento»).

L’art. 14, comma 4 della «Legge sul sovraindebitamento», prevede, poi, con riferimento alle ipotesi di annullamento e di risoluzione, che

«L’annullamento e la risoluzione dell’accordo non pregiudicano i diritti acquistati dai terzi in buona fede»

Tale previsione – di cui si può immaginare l’applicazione per analogia anche agli altri casi di caducazione degli effetti dell’«Accordo» sopra considerati – ha ad oggetto, quindi, l’acquisto dei diritti, e, pertanto, i casi di costituzione o trasferimento di diritti reali, di costituzione di reali di garanzia, di acquisto della titolarità di diritti di credito, e richiede, quale stato soggettivo del terzo, la buona fede, da intendersi, in questo caso, come inconsapevolezza del vizio che ha ad oggetto l’accordo (o della causa di risoluzione) e, a maggior ragione, nei casi di annullamento dell’«Accordo», come mancanza della partecipazione del terzo all’atto fraudolentemente diretto alla lesione del diritti dei creditori.

Non rientrano nella previsione della norma, a stretto rigore, i pagamenti, che sono atti che comportano il soddisfacimento del diritto e, per tale via, la sua estinzione (come è noto, l’adempimento costituisce il tipico caso di estinzione satisfattiva del rapporto obbligatorio).

Ciò nonostante, è da ritenere senz’altro che anche i pagamenti, quando ricevuti in buona fede ed in conformità alle previsioni dell’«Accordo» e del piano, non vengano intaccati dalla sua caducazione.

A parte la circostanza che il creditore ha il dovere di accettare l’adempimento della prestazione del debitore, uno spunto interpretativo in tal senso potrebbe essere costituito dalla già citata disposizione, contenuta nell’art. 12, comma 5 della «Legge sul sovraindebitamento», secondo la quale, in caso di risoluzione dell’«Accordo» per sopravvenuto fallimento del debitore:

«Gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione dell’accordo omologato non sono soggetti all’azione revocatoria di cui all’art. 67 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267» (né, per altro verso, i pagamenti in questione potrebbero essere soggetti all’azione revocatoria ordinaria, poiché, come è noto, sono esentati da tale azione i pagamenti di debiti scaduti: art. 2901, comma 3, cod. civ.);

2.4.2.- Un’altra conseguenza ricollegata alla caducazione degli effetti dell’«Accordo» – possibile ma non indefettibile – è la conversione nella procedura di liquidazione del patrimonio, ai sensi dell’art. 14 quater della «Legge sul sovraindebitamento», secondo il quale:

«Il giudice, su istanza del debitore o di uno dei creditori, dispone, con decreto avente il contenuto di cui all’art. 14 quinquies, la conversione della procedura di composizione della crisi di cui alla sezione prima in quella di liquidazione del patrimonio nell’ipotesi di annullamento dell’accordo o di cessazione degli effetti dell’omologazione del piano del consumatore ai sensi dell’art. 14bis, comma 2, lett. a). La conversione è altresì disposta nei casi di cui agli artt. 11, comma 5 e 14 bis, comma 1, nonché di risoluzione dell’accordo o di cessazione degli effetti dell’omologazione del piano del consumatore ai sensi dell’art. 14 bis, comma 2 lett. b) ove determinati da cause imputabili al debitore»

La conversione della procedura dell’«Accordo di composizione della crisi» di «Liquidazione del patrimonio», può, quindi, aversi, su istanza del debitore o di uno dei creditori (unica ipotesi in cui, nella disciplina della «Legge sul sovraindebitamento» ai creditori è riconosciuta la legittimazione a chiedere la sottoposizione del debitore alla procedura di liquidazione, mentre il «CCI», riconosce ai creditori in via generale, e quindi non solo in sede di conversione, la legittimazione a chiedere la sottopozione del debitore  alla procedura di «Liquidazione controllata», sempre che il debitore versi in stato di insolvenza: art. 268, comma 2, «CCI»):

  1. a) in tutti i casi di annullamento dell’«Accordo» (che presuppongono la commissione di atti aventi portata fraudolenta delle ragioni dei creditori);
  2. b) nei casi previsti dall’art. 11, comma 5 della «Legge sul sovraindebitamento», e, quindi, come visto sopra, dei casi di:

– cessazione degli effetti dell’«Accordo» per mancata integrale esecuzione, entro 90 giorni dalle scadenze previste nel piano, dei pagamenti dovuti secondo il piano alle amministrazioni pubbliche ed agli enti di gestione di forme di previdenza ed assistenza obbligatorie;

– revoca dell’«Accordo» per compimento, durante la procedura, di atti diretti a frodare le ragioni dei creditori;

  1. c) in caso di risoluzione dell’«Accordo» per fatto imputabile al debitore (e, quindi, non per i casi di risoluzione dell’«Accordo» per mancata costituzione di garanzie da parte dei tersi ovvero per impossibilità di esecuzione non imputabile al debitore)

A proposito di tale conversione, è solo il caso di aggiungere, in questa sede, che, a norma dell’art. 14 duodecies, comma 2 della «Legge sul sovraindebitamento» (che contempla una disposizione analoga a quella dell’art. 111 L.F.):

«I crediti sorti in occasione o in funzione della liquidazione o di uno dei procedimenti di cui alla precedente sezione, sono soddisfatti con preferenza rispetto agli altri, con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno ed ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti»

Vi è, quindi, una previsione di prededucibilità dei crediti sorti in occasione o in funzione (anche) della procedura dell’«Accordo di composizione della crisi» in caso di consecuzione fra questa e la procedura di «Liquidazione del patrimonio».

 

  1. (Segue): il piano del consumatore

La disciplina delle vicende patologiche post omologazione del «Piano del consumatore» previsto dalla «Legge sul sovraindebitamento» si caratterizza, rispetto a quella dell’«Accordo», principalmente per due profili di differenza:

  1. a) da un lato, sul piano formale, in considerazione del fatto che si tratta di una procedura che non si basa su di un accordo raggiunto dal debitore con i creditori (la dottrina ha accostato l’istituto ai dd.“concordati coattivi”, come nei casi di concordato previsti dalla disciplina della liquidazione coatta amministrativa: art. 214 L.F. ovvero dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi: art. 78 l. 270/1999), la legge non richiama i due rimedi tipici della disciplina del contratto che, invece, sono richiamati nella disciplina dell’«Accordo»: l’annullamento e la risoluzione;
  2. b) dall’altro, e su di un piano sostanziale, a prescindere dal tipo di rimedio previsto, non vengono considerati, nella disciplina del piano, tutti i “casi patologici” previsti nella disciplina dell’«Accordo».

3.1.- Entrando nel dettaglio, nella disciplina del «Piano del consumatore» sono richiamati:

  1. a) dall’art. 12 ter, comma 4 della «Legge sul sovraindebitamento», il caso della cessazione degli effetti previsto per l’«Accordo» dall’art. 12 comma 4, conseguente, cioè, al mancato pagamento dei crediti impignorabili ed al mancato pagamento dei crediti riferibili a tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea ed alle ritenute operate e non versate (previsione, questa seconda, da ritenersi non più in vigore, come detto in precedenza).

In questi casi la cessazione degli effetti della omologazione del «Piano del consumatore» avviene di diritto e per il suo accertamento la norma rinvia alla previsione di cui al citato art. 12, comma con la conseguenza che, anche in tal caso come in quello previsto per l’«Accordo»:

«L’accertamento del mancato pagamento di tali crediti è chiesto al tribunale con ricorso da decidere in camera di consiglio ai sensi degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Il reclamo, anche avverso il provvedimento di diniego, si propone al tribunale e del collegio non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento»

  1. b) dall’art. 14 bis, comma 1, i casi previsti, per l’«Accordo», dall’art. 11, comma 5, quelli, cioè, della mancata integrale esecuzione, entro 90 giorni dalle scadenze previste nel piano, dei pagamenti dovuti secondo il piano alle amministrazioni pubbliche ed agli enti di gestione di forme di previdenza ed assistenza obbligatorie e del compimento, durante la procedura, di atti diretti a frodare le ragioni dei creditori.

Nel primo caso il rimedio è quello della cessazione di diritto della efficacia della omologazione nel secondo quello della revoca;

  1. c) dall’art. 14 bis, comma 2:

(i) nella lettera a), i casi che la disciplina dell’«Accordo» prevede come cause di annullamento;

(ii) nella lettera b), i casi che la disciplina dell’«Accordo» prevede come cause di risoluzione.

In tali casi è previsto che

«il tribunale, su istanza di ogni creditore, in contraddittorio con il debitore, dichiara la cessazione degli effetti del piano»

Quanto ai termini per la presentazione del relativo ricorso è previsto che:

(i) nei casi di cui alla lettera a) (quelli che per l’«Accordo» costituiscono casi di annullamento) il ricorso «è proposto, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla scoperta e, in ogni caso, non oltre due anni dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto»;

(ii) nei casi di cui alla lettera b) (quelli che per l’«Accordo» costituiscono casi di risoluzione) il ricorso «è proposto, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla scoperta e, in ogni caso, non oltre un anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto».

La disciplina del «Piano del consumatore» non prevede, invece, il caso previsto per l’accordo dall’art. 12, comma 5 (ed ivi qualificato come di risoluzione), del sopravvenuto fallimento del debitore, probabilmente sulla base del convincimento che non possa verificarsi. Non sembra, tuttavia, potersi escludere che anche il consumatore possa essere dichiarato fallito dopo l’omologazione del piano, quanto meno nel caso in cui rivesta la qualità di socio illimitatamente responsabile di società che venga dichiarata fallita dopo l’omologazione.

 

3.2.- Effetti della caducazione della omologazione «Piano del consumatore» / Conversione nella procedura di liquidazione del patrimonio.

Per quanto riguarda gli effetti della caducazione della omologazione del «Piano del consumatore» e della conversione nella procedura di «Liquidazione del patrimonio» è possibile rinviare a quanto detto per l’«Accordo».

 

  1. (Segue): sintesi dei profili problematici

In estrema sintesi, si può dire che alcune delle criticità sollevate dalla disciplina delle «Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento» contenuta nella «Legge sul sovraindebitamento» sono costituite:

  1. a) dall’incertezza sui soggetti legittimati ad agire per la risoluzione e l’annullamento dell’«Accordo» e la revoca e cessazione degli effetti del «Piano del consumatore» nei casi previsti dall’art. 14bis, comma 2 della «Legge sul sovraindebitamento» e dalle incertezze su alcuni aspetti del procedimento che può condurre alla caducazione dell’«Accordo» o del «Piano del consumatore» in alcune delle altre vicende patologiche sopra ricordate;
  2. b) dalla gravità dell’inadempimento che giustifica la risoluzione dell’«Accordo» e la cessazione degli effetti del «Piano del consumatore» nel caso previsto dall’art. 14bis, comma 2, lett. b) della «Legge sul sovraindebitamento»;
  3. c) dal decorso del termine decadenziale per l’esercizio dell’azione per annullamento e la risoluzione dell’«Accordo» e per la cessazione degli effetti del «Piano del consumatore» nei casi previsti dall’art. 14bis, comma 2, lett. a) e b) della «Legge sul sovraindebitamento», nei casi in cui dall’accordo, dal piano o dal provvedimento di omologa non risulti con chiarezza la scadenza del termine per l’ultimo adempimento previsto.

Il riconoscimento della legittimazione ad agire, nei casi appena ricordati, solo in capo ai creditori pone, poi, il problema della loro inerzia nell’esercizio delle iniziative in questione.

  1. d) dell’eccessiva frammentazione dei rimedi (azione di annullamento, azione di risoluzione, revoca, cessazione di diritto);
  2. e) dalla presenza di “vicende patologiche” che se coerenti con l’iniziale conformazione dell’«Accordo» in termini analoghi all’accordo di ristrutturazione dei debiti previsto dalla Legge Fallimentare, non lo sono rispetto più a seguito delle successive modifiche della «Legge sul sovraindebitamento» che hanno ridisegnato l’istituto in termini più simili al concordato.

 

  1. Le vicende patologiche delle «Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento» successive alla omologazione nel Codice della Crisi e dell’Insolvenza: profili generali

La disciplina delle vicende patologiche post omologazione delle «Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento» nel «CCI» («Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore» e «Concordato minore», nomenclatura che prende il posto, rispettivamente del «Piano del consumatore» e dell’«Accordo di composizione della crisi») si caratterizza, rispetto a quella contenuta nella «Legge sul sovraindebitamento»:

  1. a) per l’unitarietà della disciplina relativamente ad entrambe le procedure, contenuta in due articoli, l’art. 72 del «CCI» per quanto riguarda il «Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore» e l’82 del «CCI» per quanto riguarda il «Concordato minore», aventi pressoché il medesimo contenuto;
  2. b) per l’unicità del rimedio previsto, costituito, in tutti i casi, dalla revoca della omologazione;
  3. c) per la razionalizzazione della disciplina;
  4. d) per il più stringente controllo sulla fase della esecuzione del piano, con l’attribuzione di compiti più puntuali a carico dell’OCC e la valorizzazione del ruolo del giudice.

A tale ultimo proposito si possono ricordare le disposizioni che prevedono:

(i) per quanto riguarda l’OCC, che questo:

a «vigila sull’esatto adempimento del piano»;

b «ogni sei mesi riferisce al giudice per iscritto sullo stato dell’esecuzione» (a tal proposito, è da segnalare che, a dire il vero, la prassi già conosce rendicontazioni periodiche da parte dell’OCC);

c «è tenuto a segnalare al giudice ogni fatto rilevante ai fini della revoca dell’omologazione»

d predispone una «relazione finale» al termine della esecuzione del piano. In tale relazione l’OCC dovrà, evidentemente, segnalare gli eventuali inadempimenti che non consentano di ritenere che il piano sia stato eseguito integralmente e correttamente, ai fini della verifica a tal proposito attribuita al giudice

E non v’è dubbio, che il rispetto di tali doveri e prescrizioni rilevi in sede di liquidazione del compenso all’OCC, ai fini della quale il giudice valuterà la diligenza del suo operato.

(ii) Per quanto riguarda il giudice, vanno ricordate le disposizioni che gli attribuiscono:

  1. in corso di esecuzione del piano, il potere di verificare la conformità degli atti di disposizione al piano, anche al fine di disporre lo svincolo delle formalità iscritte sui beni oggetto degli atti di disposizione;
  2. all’esito della esecuzione del piano, il potere di verifica della sua integrale esecuzione, disponendo, in particolare, gli artt. 71 commi 4 e 5 per il piano di ristrutturazione ed art. 81, commi 4 e 5 per il concordato minore che:
  3. 4 «Terminata l’esecuzione, l’OCC, sentito il debitore, presenta al giudice una relazione finale. Il giudice, se il piano è stato correttamente ed integralmente eseguito, procede alla liquidazione del compenso dell’OCC, tenuto conto di quanto eventualmente convenuto dall’organismo con il debitore, e ne autorizza il pagamento»
  4. 5 «Quando il piano non è stato integralmente e correttamente eseguito, il giudice indica gli atti necessari per l’esecuzione del piano ed un termine per il loro compimento. Se le prescrizioni non sono adempiute nel termine, anche prorogato, il giudice revoca l’omologazione, osservate, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’art. 72 [nel caso del «Concordato minore», di cui all’art. 82]».

La norma pone (almeno) tre problemi interpretativi.

In primo luogo, non è del tutto chiaro se l’OCC debba predisporre la relazione finale solo se, a suo avviso, il piano abbia avuto integrale e corretta esecuzione, dovendo, in mancanza, segnalare al giudice la sussistenza degli estremi per la revoca della omologazione, a norma degli artt. 72, comma 3 (nel caso del Piano) e 82, comma 4 (nel caso del Concordato minore); ovvero anche nel caso in cui sia semplicemente decorso il termine per la sua esecuzione, ancorché in mancanza di corretto ed integrale adempimento da parte del debitore, circostanza che l’OCC si limiterà a segnalare al giudice. Problema (per il quale appare preferibile la prima soluzione) che sorge in quanto la norma usa la locuzione «terminata l’esecuzione» del piano, senza utilizzare gli avverbi («correttamente ed integralmente») che successivamente vengono utilizzati con riferimento alle verifiche operate dal giudice.

La norma pone, in secondo luogo, il problema del coordinamento della previsione, in essa contemplata, che consente al giudice di assegnare al debitore un termine di grazia, eventualmente prorogabile, per completare l’esecuzione del piano che non sia stato correttamente ed integralmente eseguito, e, in caso di perdurante inadempimento, che gli impone revocare l’omologazione, con le previsioni contenute negli artt. 72, comma 4 (nel caso del Piano) e 82 comma 3 (nel caso del Concordato minore)  secondo cui la domanda di revoca non può essere proposta e la iniziativa per la revoca non può dal tribunale essere assunta, decorsi sei mesi dalla presentazione della relazione finale dell’OCC. E’, infatti, altamente probabile che, in caso di concessione del termine di grazia, e ancor di più, di proroga del medesimo, i sei mesi dalla presentazione della relazione finale dell’OCC possano spirare in pendenza del termine concesso dal giudice (nel corso del quale è, naturalmente, da escludere che possa disporsi la revoca della omologazione), con la conseguenza che, ove l’inadempimento non venga successivamente sanato, l’omologazione non sarebbe comunque più revocabile. Occorre, a tal proposito, considerare che la norma che consente al giudice di concedere al debitore il ridetto termine di grazia, nello stabilire che, in caso di perdurante inadempimento allo spirare del termine, il giudice medesimo revocherà l’omologazione, rinvia alle disposizioni degli artt. 72 e 82 CCI, nei limiti della compatibilità. E con specifico riferimento al decorso del termine semestrale, per rendere compatibili le due disposizioni si dovrebbe ritenere che, in caso di concessione del termine di grazia, i sei mesi decorreranno dallo spirare del termine concesso dal giudice (ed eventualmente di quello oggetto di proroga) e non già dalla presentazione della relazione finale da parte dell’OCC.

Il terzo, e forse più grave, problema riguarda il caso, non disciplinato dal CCI, in cui il debitore, in corso di esecuzione del piano, accumuli ritardi nei pagamenti previsti in favore dei creditori. In questo caso, a seguito della segnalazione di tale ritardo da parte dell’OCC ovvero da parte dei creditori ovvero ancora in caso (non di semplice segnalazione del ritardo ma) di istanza di revoca dell’omologazione da parte dei creditori, il giudice dovrà procedere senz’altro alla revoca della omologazione oppure potrà (o dovrà) concedere al debitore un termine per l’adempimento e solo all’esito del suo decorso infruttuoso potrà revocare l’omologazione? Il favor per la conservazione degli effetti dell’omologazione, di cui paiono essere espressione le previsioni degli articoli 71 e 81 CCI rendono preferibile la seconda soluzione.

  1. il potere officioso di revoca della omologazione (esercitabile sia in corso di esecuzione che all’esito della esecuzione del piano).

Le attribuzioni suddette previste per l’OCC ed il giudice nella fase esecutiva dovrebbero, fra l’altro, limitare notevolmente l’inerte prosecuzione della fase esecutiva in presenza di inadempimenti del debitore.

* * *

Accanto agli indubbi pregi sopra segnalati, la disciplina del «CCI» presenta, con riferimento al tema oggetto delle presenti note, anche delle criticità, alcune delle quali verranno di seguito segnalate. Sarebbe, allora, auspicabile che il legislatore, con l’intervento correttivo al «CCI» attualmente in discussione (si tratta dello «Schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive al “Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza», approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 17 marzo 2022), ritorni anche sulla disciplina delle «Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento», per eliminare tali criticità (così, solo per fare un esempio, sarebbe auspicabile un chiarimento sulla ricaduta delle “vicende patologiche” post omologa nel caso delle «Procedure familiari» previste dall’art. 66 del «CCI» e, in particolare, nel caso, previsto dal primo comma della disposizione, in cui i soggetti ivi contemplati presentino un unico progetto di soluzione della crisi da sovraindebitamento. Tenuto anche conto che, in tal caso, ai sensi del terzo comma della norma, le masse attive e passive riferibili ai soggetti che presentano l’accordo unitario, rimangono distinte, ci si potrebbe chiedere se sia ammissibile una revoca parziale dell’omologazione, che riguardi solo la posizione del soggetto cui è riferibile la causa di revoca: si pensi al compimento di atti in frode o all’inadempimento da parte solo di uno (o di alcuni) dei soggetti coinvolti nel progetto unitario).

 

6.1. (Segue): i casi di revoca della omologazione del «Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore» e del «Concordato minore»

Come anticipato, gli artt. 72 e 82 del «CCI», aventi il medesimo contenuto, regolano i casi di revoca della omologazione, rispettivamente, del «Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore» e del «Concordato minore», stabilendo che

«Il giudice revoca l’omologazione d’ufficio o su istanza di un creditore, del pubblico ministero o di qualsiasi altro interessato, in contraddittorio con il debitore, quando è stato dolosamente o con colpa grave aumentato o diminuito il passivo, ovvero quando è stata sottratta o dissimulata una parte rilevante dell’attivo ovvero quando sono state dolosamente dissimulate attività inesistenti o quando risultano commessi atti diretti a frodare le ragioni dei creditori.

Il giudice provvede allo stesso modo in caso di inadempimento degli obblighi previsti dal piano [nel caso dell’art. 82 «in caso di mancata esecuzione integrale del piano, fermo quanto previsto dall’art. 81, comma 5] o qualora questo sia divenuto inattuabile e non sia possibile modificarlo.

L’OCC è tenuto a segnalare al giudice ogni fatto rilevante ai fini della revoca dell’omologazione.

La domanda di revoca non può essere proposta e l’iniziativa da parte del tribunale non può essere assunta decorsi sei mesi dalla presentazione della relazione finale.

Sulla richiesta di revoca, il giudice sente le parti, anche mediante scambio di memorie scritte e provvede con sentenza reclamabile ai sensi dell’art. 51.

La revoca dell’omologazione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi in buona fede.»

Come si vede, le disposizioni in questione fanno rientrare nei casi di revoca della omologazione:

  1. a) i casi che, nella «Legge sul sovraindebitamento» comportano l’annullamento dell’«Accordo», ai sensi dell’art. 14 comma 1 e la cessazione degli effetti della omologazione del «Piano del consumatore» ai sensi dell’art. 14 bis, comma 2, lett. a);
  2. b) i casi che, nella «Legge sul sovraindebitamento» comportano la risoluzione dell’«Accordo», ai sensi dell’art. 14, comma 2 e la cessazione degli effetti della omologazione del «Piano del consumatore» ai sensi dell’art. 14 bis, comma 2, lett. b);
  3. c) il caso del compimento di atti diretti a frodare le ragioni dei creditori che, nella «Legge sul sovraindebitamento», se commessi in corso di procedura, comportano la revoca dell’«Accordo» ai sensi dell’art. 11, comma 5 e la revoca degli effetti della omologazione del «Piano del consumatore» ai sensi dell’art. 14 bis, comma 1 (che richiama l’art. 11, comma 5).

Non costituiscono, pertanto, più autonomi casi di revoca della omologazione i seguenti “casi patologici” previsti dalla «Legge sul sovraindebitamento»:

(i) il mancato pagamento dei crediti impignorabili;

(ii) la mancata esecuzione, entro 90 giorni dalle scadenze previste nel piano, dei pagamenti in favore delle amministrazioni pubbliche e degli enti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatoria;

(iii) il mancato pagamento di crediti riferibili a tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea ed alle ritenute operate e non versate;

(iv) il fallimento (nel «CCI»: la sottoposizione alla procedura di «Liquidazione giudiziale») del debitore.

I primi tre casi confluiscono, ora, in quello della revoca della omologazione per inadempimento.

Riguardo all’ultima ipotesi – a meno di non voler ritenere che il debitore che abbia ottenuto l’omologa del Piano di ristrutturazione o del Concordato minore, non possa, successivamente, essere sottoposto alla procedura di liquidazione giudiziale, ove sopraggiungano i presupposti di legge (ed a tal proposito si può rinviare alle esemplificazioni fatte a proposito dell’«Accordo»: supra § 2.2.4) – si può pensare che il legislatore del «CCI» abbia reputato superflua una previsione come quella contenuta nella «Legge sul sovraindebitamento», alla luce del fatto che l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale renderebbe oggettivamente inattuabile l’esecuzione del piano. Occorre, piuttosto, osservare che la disciplina delle «Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento» contenuta nel «CCI» non contempla una disposizione analoga quella prevista dall’art. 119, comma 7 per il concordato preventivo, secondo cui dopo la omologazione del concordato preventivo, è esclusa la sottoposizione del debitore alla procedura di liquidazione giudiziale in mancanza della previa risoluzione del concordato medesimo (a meno che lo stato di insolvenza non sia riconducibile ad obbligazioni sorte dopo la ammissione alla procedura e, quindi, non soggette al concordato). Il debitore che abbia ottenuto l’omologazione del «Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore» ovvero del «Concordato minore», ove sopraggiungano i presupposti di legge, potrà, quindi, essere sottoposto alla procedura della liquidazione giudiziale a prescindere della previa revoca dell’omologazione del Piano o del Concordato minore.

Anche in questi casi, si porrà, per i creditori vincolati dal «Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore» e dal «Concordato minore», il problema dell’importo per il quale potranno chiedere l’ammissione al passivo della (sopraggiunta) liquidazione giudiziale del debitore: se quello rideterminato nel Piano o nel Concordato minore, al netto dei pagamenti medio tempore ricevuto ovvero quello originario (sempre al netto dei pagamenti ricevuti), problema per il quale si può rinviare a quanto detto per l’accordo oggi disciplinato nella «Legge sul Sovraindebitamento».

Sempre per l’ipotesi della successiva sottoposizione alla procedura di liquidazione giudiziale del debitore che abbia ottenuto l’omologazione del «Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore» ovvero del «Concordato minore», possono segnalarsi due questioni.

(i) Prededuzioni.

La prededucibilità, nell’ambito della procedura di liquidazione giudiziale, dei finanziamenti resi in esecuzione o in funzione del «Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore» e del «Concordato minore» non è prevista né dalla disposizione di cui all’art. 6 del «CCI» – che contempla alcune categorie generali di crediti prededucibili – né da altre disposizioni del «CCI». In questo caso non sembrerebbe, tuttavia, potersi parlare di una lacuna della legge, eventualmente colmabile in via analogica, quanto, piuttosto, di una precisa scelta del legislatore del CCI, che, come è noto, in adempimento delle direttive della legge delega n. 155/2017, ha voluto limitare le ipotesi di prededuzione previste nel sistema legislativo attualmente vigente.

(ii) Esenzione da revocatoria.

Per gli atti, i pagamenti e garanzie concessi in esecuzione del «Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore» e del «Concordato minore», non essendo stata riprodotta nel «CCI» una norma analoga all’art. 12, comma 5 della «Legge sul Sovraindebitamento», non è più espressamente prevista l’esenzione dalla revocatoria, né tale esenzione può ricavarsi dalle ipotesi previste dall’art. 166, comma 5 del «CCI» (che ripetono le ipotesi attualmente previste dall’art. 67, comma 5 L.F.). Qui sì che, invece, ci si trova in presenza di una lacuna della legge, che è auspicabile venga colmata con il provvedimento correttivo attualmente in discussione.

Resta l’esenzione dai reati di bancarotta per i pagamenti e gli atti esecutivi del concordato minore, ai sensi dell’art. 324 del «CCI»

Qualche notazione sui casi di inadempimento ed inattuabilità del piano e di compimento di atti diretti a frodare le ragioni dei creditori.

6.2.- Iniziando dall’inadempimento, occorre prendere le mosse dalle già citate disposizioni, di identico contenuto, di cui agli articoli 71, comma 5 e 81, comma 5, del «CCI» – riscritte, nella loro formulazione attuale, dal D.L. 147/2020, convertito in l. 176/2020 – a norma delle quali:

«Quando il piano non è stato integralmente e correttamente eseguito, il giudice indica gli atti necessari per l’esecuzione del piano ed un termine per il loro compimento. Se le prescrizioni non sono adempiute nel termine, anche prorogato, il giudice revoca l’omologazione, osservate, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’art. 72 [nel caso del «Concordato minore», di cui all’art. 82]».

(i) Le disposizioni in questione sono rilevanti, innanzi tutto, in quanto, il loro inserimento anche nella disciplina del «Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore» – in tal caso, l’inserimento dell’art. 71, comma 5, nella attuale formulazione – dovrebbe portare ad integrare, in via interpretativa, la previsione di cui al secondo comma dell’art. 72, secondo cui il giudice revoca l’omologazione «in caso di inadempimento degli obblighi previsti nel piano», attribuendole significato analogo quella (prevista per il Concordato minore) di cui all’art. 82, comma 2, secondo la quale il giudice revoca l’omologazione «in caso di mancata esecuzione integrale del piano, fermo quanto previsto dall’art. 71, comma 5». In altre parole, anche nel caso del «Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore» la revoca della omologazione per inadempimento dovrebbe essere disposta allorché il piano non sia stato integralmente (e correttamente) eseguito.

(ii) Le disposizioni in questione assumono poi, e soprattutto, importanza perché, sancendo la revocabilità della omologazione in mancanza di corretta ed integrale esecuzione del piano, comportano che qualsiasi inadempimento, anche se di scarsa importanza, può condurre alla revoca della omologazione. Il dettato letterale della norma è sufficientemente chiaro in tal senso ed appare difficile, pertanto, sostenere che la revoca della omologazione per inadempimento richieda – come oggi si ritiene per la risoluzione per inadempimento dell’«Accordo» – che l’inadempimento non sia di scarsa importanza.

6.2.- Per quanto riguarda, invece, inattuabilità del piano, questa è causa di revoca dell’omologazione, se non è possibile modificarlo. Naturalmente la inattuabilità deve derivare da causa non imputabile al debitore, ricadendosi, altrimenti, nella ipotesi dell’inadempimento.

Rispetto a tale previsione è da dire che, mentre la disciplina delle «Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento» contenuta nella «Legge sul sovraindebitamento» prevede espressamente la possibilità di modifica della proposta di «Accordo» o di «Piano del consumatore», se la sua esecuzione è divenuta impossibile per causa non imputabile al debitore (art. 13 comma 4 ter), altrettanto non è espressamente previsto nel «CCI».

Secondo una opinione, il fatto che, da un lato, la disposizione del «CCI» non si riferisca più alla modifica della proposta ma a quella del piano (inteso quale documento contente tempi e modalità di adempimento della proposta) e, dall’altro, che non sia espressamente previsto che la modifica del piano debba essere sottoposta al vaglio dei creditori, consentirebbe di ritenere che mentre la proposta di concordato, dopo l’omologazione, è immodificabile, il piano – in caso di sopraggiunta ineseguibilità – sarebbe liberamente modificabile dal debitore, senza dover passare dal vaglio dei creditori.

Secondo altra opinione la modifica del piano richiederebbe, invece, l’approvazione dei creditori, nel caso del Concordato minore ed il vaglio positivo del giudice nel caso del Piano di ristrutturazione del consumatore.

Anche su questo punto, sembra opportuno un intervento chiarificatore da parte del legislatore in sede di correttivo del «CCI»

6.3.- Per quanto riguarda, infine, il compimento di atti in frode delle ragioni dei creditori, la disposizione potrebbe interpretarsi in senso restrittivo, limitandone la portata, in continuità con le previsioni della «Legge sul Sovraindebitamento», a quelli posti in essere durante la procedura, non invece a quelli posti in essere prima dell’apertura della procedura ovvero dopo l’omologazione.

Tuttavia, la circostanza che la norma non specifichi il tempo del compimento degli atti in frode rilevanti ai fini della revoca dell’omologazione, potrebbe anche condurre ad una interpretazione più ampia della disposizione, che faccia rientrare nel suo perimetro anche gli atti in frode commessi dal debitore prima della ammissione alla procedura e quelli commessi dopo l’omologazione.

Se si dovesse preferire l’interpretazione estensiva della norma, bisognerebbe, allora, riguardo agli atti fraudolenti compiuti dal debitore prima della ammissione alla procedura, individuare lo spazio per eventuali atti in frode “atipici” commessi ante ammissione, diversi cioè dal doloso o gravemente colposo aumento o dalla dolosa o gravemente colposa diminuzione dell’attivo dalla sottrazione o dissimulazione di parte rilevante dell’attivo ovvero ancora dalla dolosa dissimulazione di attività inesistenti, tutte condotte (espressamente previste dalla norma) latu sensu fraudolente, poste in essere, di regola, prima della ammissione alla procedura.

Quanto, invece, agli atti in frode commessi dopo l’omologazione (taluno parla, a tal proposito, di frode in executivis) si potrebbe pensare, ad esempio, a pagamenti effettuati in favore di alcuni dei creditori vincolati dal piano o dal concordato, in misura superiore a quella prevista, al fine di avvantaggiarli ovvero ad atti mediante i quali il debitore precostituisca le condizioni di inadempimento del piano o del concordato, ad esempio occultando beni o redditi all’uopo necessari.

6.4.- Il provvedimento di revoca della omologazione viene reso dal giudice con sentenza, che può essere reclamata, dinanzi alla corte di appello, ai sensi dell’art. 51 del «CCI».

 

  1. (Segue): Effetti della revoca della omologazione. Conversione nella procedura di Liquidazione controllata.

Con riferimento agli effetti della revoca della omologazione vengono in considerazioni due disposizioni per ciascuna delle due «Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento», anche in tal caso di analogo contenuto: l’art. 72, comma 6 e l’art. 73, per la procedura di «Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore» e l’art. 82, comma 6 e l’art. 83 per il «Concordato minore»:

  1. a) gli artt. 72, comma 6 e 82, comma 6 stabiliscono che

«La revoca della omologazione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede»

A tal proposito si può rinviare a quanto detto in precedenza a proposito delle analoghe previsioni contenute nella «Legge sul Sovraindebitamento»

  1. b) gli articoli 73 ed 83 regolano la conversione delle due «Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento» nella procedura di «Liquidazione controllata» disponendo che:

«In caso di revoca della omologazione il giudice, su istanza del debitore, dispone la conversione in liquidazione controllata.

Se la revoca consegue ad atti in frode o ad inadempimento, l’istanza di cui al comma 1 può essere proposta anche dai creditori o dal pubblico ministero.

…»

Riguardo alla conversione nella procedura di «Liquidazione controllata» è il caso di rimarcare la differente disciplina che, in tema di prededuzioni, è prevista nell’art. 277, comma 2, «CCI» rispetto a quella, sopra ricordata, dell’art. 14duodecies, comma 2, della «Legge sul Sovraindebitamento».

Mentre, infatti, la seconda disposizione prevede la prededucibilità, in seno alla procedura di «Liquidazione del patrimonio», anche dei crediti sorti in esecuzione o in funzione dell’«Accordo» e del «Piano del consumatore» (la norma parla di «crediti sorti in occasione o in funzione della liquidazione o di uno dei procedimenti di cui alla precedente sezione»), la disposizione del «CCI» limita la prededuzione ai crediti sorti in funzione o in esecuzione della procedura di liquidazione controllata. Anche qui, non sembra potersi parlare di lacuna normativa, ma di una precisa scelta del legislatore in senso limitativo delle prededuzioni, in attuazione, come ricordato sopra, ad una delle direttive della legge delega n. 155/2017.

Avv. Nicola Nisio

 

 

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