L’intervento dell’avvocato Saverio Nitti, amministrativista e socio di Polis Avvocati (in foto), sul tema della Giustizia Amministrativa ai tempi del “Coronavirus”, pubblicato oggi dalla Gazzetta del Mezzogiorno.
(L’analisi è stata redatta precedentemente alla pubblicazione del DPCM 04.03.2020)
“In un recente tweet, l’economista Carlo Cottarelli, commentando l’annullamento da parte del TAR Campania del decreto con il quale il Ministro dell’Ambiente si era pronunciato favorevolmente sulla valutazione di impatto ambientale (VIA) del progetto dell’Aeroporto di Salerno “Costa d’Amalfi” , chiosa: “Poi ci si chiede perché non si fanno infrastrutture in Italia……moriremo di giustizia amministrativa?”.
E infatti la Politica – nazionale e locale – non di rado si è scagliata contro la Giustizia Amministrativa, ritenendo che la stessa possa costituire un freno all’economia quando i Tribunali Amministrativi intervengono sulla proposizione di ricorsi giurisdizionali. È questo il caso, per fare un esempio, della Regione Puglia, con la sospensione da parte del TAR delle graduatorie attinenti le domande ammissibili agli aiuti finanziari del Programma di Sviluppo Rurale (PSR), con il conseguente rischio di perdita dei finanziamenti.
In realtà i fatti sono diversi. Ad esempio, i dati ufficiali raccolti dall’Ufficio Statistica del Consiglio di Stato ci dicono che nel 2018 le procedure per l’affidamento di contratti pubblici sospese dalla Giustizia Amministrativa rappresentano lo 0,31% del totale delle procedure bandite.
Nonostante ciò si è radicata nell’opinione pubblica l’idea che la Giustizia Amministrativa, più che rappresentare uno strumento di tutela per imprese e cittadini, costituisca un inutile orpello.
In questi giorni di uno strano 2020 che in soli due mesi è stato in grado di far bruciare il continente australe, dividere la famiglia reale britannica e consegnare un nuovo virus globale, la situazione è improvvisamente mutata.
La Giustizia Amministrativa si è dovuta immediatamente occupare – dopo pochissimi giorni dalla diffusione nel nostro Paese – del c.d. “Coronavirus”.
Lo ha fatto non sospendendo attività e manifestazioni pubbliche, ma “addirittura” riaprendole (o come diremo in seguito, provando a riaprile).
È il caso della Regione Marche, dove il Governatore, con ordinanza del 25.2.2020, in ragione della “prossimità del territorio marchigiano con la Regione Emilia Romagna in cui sono stati rilevati casi confermati di contagio” e avvalendosi della facoltà prevista dagli articoli 1 e 2 del Decreto Legge n. 6 del 23.2.2020, ha disposto per 7 giorni la sospensione delle attività scolastiche di ogni ordine e grado, così come l’apertura al pubblico di musei e luoghi della cultura, disponendo la sospensione di tutte le manifestazioni pubbliche. Il tutto in assenza, a quella data, di casi positivi al virus nel territorio regionale.
L’ordinanza ha creato un immediato scontro tra Governo e Regione, con il primo che ha accusato la Regione Marche di disattendere i protocolli generali ipotizzati sui tavoli istituzionali e di ingenerare confusione nel Paese.
La vicenda, in soli due giorni e su ricorso della Presidenza del Consiglio dei Ministri, è giunta dinanzi al Presidente del Tar per le Marche che con decreto cautelare del 27.2.2020, ha sospeso immediatamente l’ordinanza rilevando non solo l’assenza di contagiati, ma la circostanza per cui la Regione Marche non poteva adottare misure “altrettanto invasive, sia per intensità sia per latitudine, rispetto a quelle giustificate dalla presenza di un focolaio di infezione”.
In buona sostanza la Giustizia Amministrativa ha di fatto “riaperto” scuole, musei e biblioteche, dissociandosi da quel ruolo di freno alle attività che, come rilevato in premessa, molte volte le viene erroneamente affibbiato.
La cronaca ha successivamente superato parte delle riflessioni qui formulate, considerando che il Governatore delle Marche – “forte” della sopravvenuta presenza di sei contagiati nella Regione – ha nella stessa data del provvedimento del Tar, nuovamente adottato l’ordinanza, con differente motivazione.
Non spetta ovviamente a chi scrive giudicare tale provvedimento, limitandosi a rilevare come questa volta – al presumibile fine di sottrarsi ad una nuova impugnazione – l’ordinanza ha avuto una durata di soli 2 giorni.
Resta da rilevare come il virus globale COVID-19 dopo essere entrato prepotentemente nelle case degli italiani, attraverso la copiosa e costante diffusione di notizie da parte di tv e giornali (oltre che con il pericoloso dilagare delle opinioni di chiunque sui social network), in pochissimi giorni è giunto nelle aule di Giustizia.
Non solo attraverso le misure adottate dai singoli Tribunali al fine di evitare il proliferare dei contagi e garantire l’attività di udienza, ma anche come tema di discussione nelle aule della Giustizia Amministrativa.
Giurisdizione, quest’ultima, che conferma la sua natura di luogo deputato non solo a dirimere controversie con rilievi economici (appalti, concorsi), ma soprattutto a tutelare il cittadino da limitazioni non supportate dal superiore interesse pubblico.
Resta l’impressione che nello specifico il tutto si sarebbe potuto evitare e che la “paura” abbia purtroppo preso il sopravvento.
Quest’ultimo rilievo è confermato dal fatto che ordinanze come quella in questione, si sono succedute nei primi giorni di diffusione del contagio nel nostro Paese, basti pensare al divieto di ingresso nell’isola di Ischia imposto dai sindaci del territorio per i provenienti da Lombardia e Veneto (annullata con intervento della competente Prefettura) o all’analoga ordinanza resa dalla Regione Basilicata, con “quarantena” imposta in via amministrativa per i provenienti dalle ridette regioni (saggiamente annullata in autotutela dalla stessa Regione)
Si è in buona sostanza avuta l’impressione che parte della politica locale abbia provato a cavalcare la logica del consenso popolare. Dopotutto alcuni dei territori citati saranno presto chiamati alle urne.
Il recente D.P.C.M. del 1° marzo 2020, teso per espressa indicazione governativa a disciplinare in modo unitario il quadro degli interventi e a garantire uniformità su tutto il territorio nazionale all’attuazione dei programmi di profilassi, dovrebbe frenare l’adozione di nuove misure autonome da parte degli amministratori.
Con l’auspicio che la Giustizia Amministrativa non sia nuovamente chiamata a far fronte a tali situazioni e con la consapevolezza che ove ciò si renderà necessario, l’ordinamento consente l’adozione di misure immediate”.