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24 Mag, 22

“La responsabilità penale degli amministratori con o senza deleghe, alla luce della recente sentenza n. 11087/2022 della Corte di Cassazione”: l’approfondimento di Nuzzolese, Di Comite e Straziota.

“La responsabilità penale degli amministratori con o senza deleghe, alla luce della recente sentenza n. 11087/2022 della Corte di Cassazione”, di seguito l’approfondimento dei nostri Isabella Nuzzolese, Andrea Di Comite, Federico Straziota.

Nell’ambito dei procedimenti penali aventi ad oggetto i reati connessi all’attività d’impresa, una questione particolarmente rilevante è quella che attiene i profili di penale responsabilità degli amministratori privi di deleghe.

Il tema – che muove dall’esigenza di bilanciare la pretesa di comportamenti doverosi collegati all’assunzione della formale carica e la necessaria diversificazione rispetto ai soggetti che assumono in concreto ruoli di gestione effettiva della società – è stato per lungo tempo connotato da oscillazioni interpretative, solo in parte risolte con la riforma di diritto societario operata con la Legge n. 6/2003.

Occorre tuttavia distinguere l’ipotesi in cui in cui il Consiglio di Amministrazione operi con deleghe, da quella in cui non sia stata rilasciata alcuna delega su specifiche materie o attribuzioni concernenti la gestione della società.

Nel primo caso, la modifica dell’art. 2381 c.c. in tema di poteri e doveri degli amministratori, intervenuta con la riforma del 2003, ha ridimensionato il previgente modello di responsabilità oggettiva da posizione, sostituendo l’originario dovere di vigilanza sull’andamento della gestione con la diversa (e più esigibile) attività di valutazione periodica della gestione e con l’onere di agire informato.

L’art. 2381 c.c. riconosce, infatti, il potere-dovere, in capo a ciascun consigliere, di informarsi in merito alla gestione della società: tale modus agendi si estrinseca essenzialmente attraverso la partecipazione alle delibere consiliari e la richiesta di informazioni, costituendo, per certi aspetti, un’eccezione al principio di collegialità.

Inoltre, la previsione di cui all’art. 2392 c.c. – a mente del quale “in ogni caso gli amministratori, fermo quanto disposto dal comma terzo dell’articolo 2381, sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose” – pur concernendo le responsabilità di matrice civilistica, è stata assunta quale canone di accertamento della responsabilità penale.

È questo, dunque, l’attuale perimetro normativo di riferimento per la giurisprudenza penale, da leggere congiuntamente con il generale principio di cui all’art. 40, secondo comma, c.p., ai sensi del quale “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.

Dunque, laddove i consiglieri sforniti di delega vengano a conoscenza del compimento di un atto gestorio illecito – o anche pregiudizievole per il patrimonio sociale ovvero per i terzi creditori – da parte del consigliere delegato e decidano di non impedirlo, questi ne risponderanno penalmente, alla stregua del consigliere delegato che materialmente lo ha commesso.

In ogni caso, “non può esservi equiparazione tra ‘conoscenza’ e ‘conoscibilità’ dell’evento che si deve impedire, attenendo la prima all’area della fattispecie volontaria e la seconda, quale violazione ai doveri di diligenza, all’area della colpa” (cfr. Cass. pen., Sez. V, 7.1.2015, n. 7331).

Ecco perché, per accertare la sussistenza dell’elemento psicologico del reato – dovendo il comportamento omissivo essere connotato da rappresentazione e volizione, quantomeno nella forma del dolo eventuale – la giurisprudenza ha progressivamente valorizzato i c.d. “segnali di allarme”.

Si tratta di indici rilevatori che, per le massime della comune esperienza, avrebbero dovuto mettere in allerta il consigliere sull’altrui compimento dell’atto illecito.

A titolo esemplificativo, la giurisprudenza ha ravvisato segnali di allarme nei seguenti casi: spropositato ed esorbitante ammontare dei canoni di sublocazione pagati dalla società controllata alla controllante; irregolare tenuta delle scritture contabili; carenza o contraddittorietà delle informative; finanziamenti in favore di società in stato di dissesto; compimento di atti estranei all’oggetto sociale; carenze nell’esercizio delle funzioni da parte della società capogruppo, e così via.

In particolare, gli indici di rischio devono essere sottoposti a un duplice vaglio:

  • che siano oggettivamente percepibili;
  • che siano soggettivamente percepiti, in maniera inequivocabile,

cosicché si possa desumere l’accettazione del rischio del verificarsi dell’evento illecito, secondo i criteri propri del dolo eventuale, e la volontà di non attivarsi per scongiurare l’evento, nella forma del dolo indiretto.

Tali principi sono, tuttavia, applicabili in presenza di materie delegate o al comitato esecutivo o ad uno o più consiglieri.

Al contrario, l’alleggerimento degli oneri e delle responsabilità degli amministratori verso la società nei limiti delle attribuzioni proprie, non riguarda l’ipotesi in cui manchi del tutto l’attribuzione specifica di materie o compiti in capo a taluni consiglieri.

Invero, come da ultimo ribadito da un recente pronuncia della Terza Sezione Penale della Suprema Corte (n. 11087 del 28.3.2022), in assenza di deleghe ad alcuno dei componenti del consiglio di amministrazione, è da ritenersi gravante su tutti i consiglieri la responsabilità solidale per gli illeciti deliberati o posti essere dal consiglio di amministrazione, da imputarsi solidalmente a ciascuno di essi.

In tal caso, la posizione di garanzia degli amministratori rimane ancorata all’art. 2392 c.c., “in forza della quale l’amministratore deve conservare il patrimonio sociale ed impedire che si verifichino danni per la società e per i terzi” (cfr. Cass. pen., Sez. III, 28.3.2022, n. 11087), essendo tutti gli amministratori “solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge o dallo statuto, a meno che non si tratti di attribuzioni proprie o del comitato esecutivo o attribuite in concreto ad uno o più di essi, così come ribadisce specificamente per il consiglio di amministrazione l’art. 2381 c.c., comma 2” (cfr. Cass. pen., Sez. III, 5.8.2021, n. 30689).

Ne deriva che grava sull’amministratore – proprio perché investito, al pari di ogni altro componente del C.d.A., dei compiti di amministrazione diretta – uno specifico obbligo di vigilanza sull’andamento della gestione societaria.

Avv. ti Isabella Nuzzolese, Andrea Di Comite, Federico Straziota

 

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